Differenze intollerabili
Di Marco Revelli
La Stampa – venerdì 4 novembre
Come è noto il Piano di contenimento nazionale posto in essere per far fronte alla crisi energetica prevede, oltre all’accensione ritardata dei termosifoni, anche la limitazione del periodo giornaliero di riscaldamento a non più di 13 ore. A Torino, però, chi abita in una casa popolare si vedrà ulteriormente dimezzato il tempo di accensione, ridotto dall’«Agenzia territoriale per la casa» a non più di sei ore giornaliere distribuite tra le 6 e le 9 del mattino e tra le 18 e le 21 della sera. Se si voleva dar plastica evidenza all’immagine delle «due città», quella agiata e accogliente di chi «ha», e quella disagiata e marginale di chi è «senza» – diciamolo brutalmente, dei ricchi e dei poveri –, non si poteva scegliere metodo migliore. Il caldo e il freddo sono gli elementi più naturali capaci di segnare le distanze e le differenze (la metafora di chi «ha i piedi al caldo» e il proverbio secondo cui «Dio manda il freddo secondo i panni» parlano chiaro). E a Torino, la città dei santi sociali, del socialismo operaista e di una delle rare giunte di sinistra rimaste nel Nord del Paese, tocca oggi di testimoniare del permanere di questa dura frontiera sociale.
Ma poi, che cosa significano quelle fasce orarie che sembrano pensate per un altro tempo e per un altro mondo, quando ancora Torino era la capitale del lavoro, e le sue periferie erano quartieri dormitorio dove quasi tutti uscivano all’alba al suono della sirena della fabbrica e tornavano al tramonto? Forse allora, questa sorta di «disciplina sovietica» avrebbe trovato una qualche ragione. Ma ora? Con le fabbriche semi-vuote, la pletora di precari che non timbrano il cartellino in massa al mattino ma restano in sospensione nel vuoto un po’ a tutte le ore, l’esercito di anziani, molti dei quali soli, in gran numero disabili in difficoltà a spostarsi nel loro stesso quartiere, che senso ha lasciare gli alloggi freddi dal primo mattino fino al crepuscolo, quelle lunghe nove ore centrali della giornata durante le quali la casa diventa una ghiacciaia?
Certo, gli amministratori regionali dell’Atc hanno anche loro le proprie ferree leggi da rispettare: il caro bollette erode i già stentati bilanci quasi raddoppiati in un anno (e non è finita…). La scelta caritatevole di rateizzare su 12 mesi i costi di riscaldamento anticipandone l’ammontare e attendendo il saldo dei ratei da parte di inquilini probabilmente in parte morosi incolpevoli rende ancor più improbo il loro lavoro. Ma resta il fatto che così Torino, nonostante la buona volontà dei suoi amministratori giunti a Palazzo di città con la promessa di non scordare le periferie, rischia di assomigliare sempre più a una delle «città invisibili» descritta da quello straordinario autore che fu Italo Calvino: intendo Moriana, la città double face, davanti «splendente con le sue porte di alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo, le ville tutte di vetro», sul retro «squallida con distese di lamiera arrugginita, assi irte di chiodi, mucchi di barattoli e telai di sedie spogliate»… Uno spettacolo che non vorremmo vedere.